Informazioni e osservatorio legale sugli strumenti finanziari derivati
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LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA ANNULLA LE OPERAZIONI IN DERIVATI DEL COMUNE DI CATTOLICA

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

Con una clamorosa pronuncia che ha totalmente ribaltato le conclusioni a cui era approdato il giudice di primo grado, la Corte d’Appello di Bologna (III^ sez. civile, sentenza n. 734 depositata l’11.3.2014, pubblicata su www.ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, 10296) ha dichiarato la nullità ed inefficacia di tre contratti swap conclusi dal Comune di Cattolica tra il 2003 ed il 2004, condannando la BNL a restituire all’ente locale romagnolo dei differenziali negativi per un ammontare di diverse centinaia di migliaia di euro. [Continua a leggere →]

La difesa del Comune aveva fondato per gran parte la sua azione giudiziale sull’accertamento della dedotta irregolarità delle modalità di formazione della volontà contrattuale all’interno della pubblica amministrazione: in particolare, fin dalla fase di prime cure si era sostenuta la tesi della carenza di poteri in capo al dirigente del settore finanziario (firmatario dei contratti derivati) in assenza di una previa deliberazione del Consiglio Comunale che predeterminasse “a monte” le condizioni e le finalità degli swaps e che individuasse le modalità di scelta del contraente privato.
Inoltre, l’ente pubblico aveva dedotto quali ulteriori elementi di criticità, nell’ordine, la violazione dell’obbligo di forma pubblica dell’atto, la carenza della previa adozione di alcun impegno di spesa in relazione all’indebitamento da derivati oltre al mancato aggancio di tale indebitamento al finanziamento di spese per investimenti, tutte prescrizioni traenti la loro fonte normativa nel Testo Unico sugli enti locali (d. lgs. n. 267 del 2000, cd. TUEL).

In primo grado, il Tribunale di Bologna aveva respinto le domande del Comune muovendo dalla decisiva considerazione secondo cui la negoziazione di uno strumento derivato non costituirebbe in sé e per sé una forma di indebitamento per l’ente territoriale, considerazione da cui era stata fatta scaturire la ritenuta inapplicabilità, in tutti i procedimenti amministrativi prodromici alla stipula di un contratto swap, delle molteplici prescrizioni di forma e di sostanza generalmente previste dal TUEL ed in questo caso invocate dalla difesa del Comune.

Il collegio di secondo grado, smentendo la tesi del Tribunale, ha fissato un principio generale di estrema importanza da cui potranno certamente trarre spunto gli operatori del diritto (giudici e avvocati) coinvolti nell’ampio contenzioso che nei Tribunali italiani vede oggi contrapposti enti locali e banche in materia di contratti di finanza derivata: secondo la Corte felsinea, il contratto di interest rate swap, tanto nel caso in cui preveda l’erogazione di un up front (o premio di liquidità) nella fase iniziale del negozio quanto nel caso in cui non lo preveda, costituisce sempre e comunque, “proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l’ente pubblico, attuale o potenziale” (cfr. a pag. 10 della sentenza).
A questa conclusione i giudici bolognesi sono pervenuti dopo avere sposato una nozione del contratto IRS inteso come “una lecita scommessa bilaterale sui tassi futuri, con la finalità di fare guadagnare o perdere la parte contraente a seconda della periodica rilevazione degli stessi, generando flussi finanziari corrispondenti”.
E dunque, se di scommessa lecita si tratta, deve avere arguito la Corte d’Appello bolognese, “è evidente che ognuno degli stessi contraenti deve mettere in conto al momento della stipulazione non solo il proprio guadagno, ma, come in ogni gioco d’azzardo, anche di perdere, e quindi di dover pagare – ossia divenire debitore di – una certa somma nei confronti della controparte”.
In un successivo inciso, gli stessi giudici, sgomberando il campo da ogni dubbio sul punto, hanno poi ribadito la presenza di una “potenziale passività insita in ogni contratto di swap” (cfr. a pag. 12 della sentenza).

Gli aspetti più significativi della sentenza in commento sono dunque i seguenti: innanzitutto vi si sostiene – in via inedita per il contenzioso riguardante gli enti locali – una nozione del derivato quale forma di indebitamento tout court per la parte pubblica e, al contempo, uniformandosi ad analoghe statuizioni di altri organismi giudiziari, si qualifica lo stesso contratto come una scommessa.

Sotto il primo dei due citati profili, è importante osservare come la Corte bolognese si sia posta in evidente contrasto con la diversa nozione propugnata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella sua circolare del 22 giugno 2007 (pubblicata in G.U. 2 luglio 2007, n. 151) laddove si è affermato che gli strumenti finanziari derivati, lungi dall’essere delle forme di indebitamento per un ente pubblico, si configurerebbero come meri strumenti di “gestione del debito”.

Sotto il secondo profilo, nel fornire la sua qualificazione del contratto di swap come una scommessa, il collegio emiliano ha mostrato di aderire espressamente al recente orientamento giurisprudenziale inaugurato dal celebre arret della Corte d’Appello di Milano dello scorso anno e che tanto sta influenzando gli “addetti ai lavori” (sentenza n. 3459 del 18.9.2013, già commentata su questo sito).

Inoltre, la statuizione dei giudici bolognesi assume una peculiare rilevanza nel campo della finanza degli enti pubblici territoriali poichè apre la strada a molteplici ipotesi di irregolarità del procedimento amministrativo fungente da presupposto per la successiva approvazione del contratto derivato con la banca.
Com’è noto, nel campo dei contratti stipulati da enti pubblici sussiste un nesso ineludibile tra la preliminare fase a contenuto autoritativo, tutta interna alla pubblica amministrazione (e consistente in una seria di atti procedimentali attraverso cui viene a formarsi la volontà negoziale del contraente pubblico) e la successiva fase negozial-privatistica, consistente nella stipula del contratto vincolante tra le parti.
Se la fase pubblicistica viene ad essere in qualche modo inficiata da vizi formali o sostanziali che intaccano la regolarità del procedimento, ecco che si apre la vexata quaestio (su cui a lungo si è dibattuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Cassazione) circa la sorte che, per via di tale irregolarità, subisce il contratto medio tempore stipulato tra soggetto privato e P.A. [1]

La pronuncia in rassegna, una volta riconosciuti come effettivamente sussistenti alcuni vizi nel procedimento amministrativo attraverso cui il Comune di Cattolica era giunto all’approvazione dei tre contratti interest rate swap conclusi tra il 2003 e il 2004, ha accolto il gravame dichiarando la nullità e comunque annullando e dichiarando inefficaci tutti e tre i contratti.
Nessun dubbio ha investito la Corte circa la sua facoltà di sindacare ed esaminare incidenter tantum  i suddetti vizi del procedimento amministrativo, avendo essa aderito a quella tesi largamente accolta in dottrina e in giurisprudenza (da ultimo con Cass. civ., SS.UU., sent. n. 5446 del 2012) secondo cui rientra sempre tra i generali poteri del giudice ordinario quello di disapplicare gli atti amministrativi da lui stesso ritenuti illegittimi (come previsto dall’art. 5, legge n. 2248 del 1865, all. E).

Nel merito dei vizi procedimentali riscontrati nella nostra fattispecie, i giudici bolognesi hanno rilevato e ritenuto – tra i tanti aspetti critici – in particolare quanto segue:

  • in primo luogo, tutti gli atti di approvazione dei contratti swaps avrebbero dovuto essere assunti dal Consiglio Comunale e non dal funzionario dirigente preposto al settore affari finanziari (come avvenuto in ispecie), stante la competenza funzionale inderogabilmente assegnata all’organo consiliare dall’art. 42 TUEL ogniqualvolta si tratti di “spese che impegnano i bilanci per gli anni successivi”;
  • l’accensione degli swaps avrebbe dovuto essere preceduta da apposito impegno di spesa (di fatto mai adottato) all’interno del relativo bilancio di previsione, come imposto dall’art. 203 TUEL;
  • l’indebitamento per derivati avrebbe potuto essere assunto solo per finanziare spese in conto capitale ossia investimenti, unica modalità invero consentita dall’art. 202 TUEL ma di cui non vi era traccia negli atti approvati dal Comune di Cattolica.

In conclusione, non è difficile prefigurare che i medesimi vizi del procedimento amministrativo “a monte” che hanno riguardato la vicenda del Comune romagnolo all’atto dell’accensione dei suoi contratti swap possano essersi verificati in molte altre vicende analoghe che vedono oggi impegnati gli enti territoriali italiani in battaglie giudiziarie intraprese contro le banche al fine di salvaguardare l’interesse della collettività e la stessa capacità di spesa della pubblica amministrazione: per le ragioni evidenziate, quindi, la pronuncia della Corte d’Appello di Bologna, qualora dovesse “fare scuola”, potrebbe risultare decisiva nel convincere molte amministrazioni locali ad agire in giudizio onde liberare i propri “portafogli” da contratti derivati dimostratisi in fin dei conti dannosi per i loro bilanci.

* * *

Link al provvedimento:

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fin.php?id_cont=10296.php

Note:

[1] Tradizionalmente, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione aveva inquadrato il problema in discorso nella tematica del vizio della legittimazione a contrarre da parte dell’organo esprimente la volontà dell’ente con la conseguente annullabilità relativa del contratto su domanda della sola P.A. (ex multis, Cass. civile, sez. II, 21 febbraio 1995, n. 1885 e 8 maggio 1996, n. 4269); viceversa, nella giurisprudenza del giudice amministrativo e soprattutto in materia di appalti pubblici, ha prevalso per molto tempo la tesi della “caducazione automatica” del contratto, secondo cui la fase di evidenza pubblica costituisce un requisito legale di efficacia del contratto, il cui venire meno determina il travolgimento automatico del negozio, in forza del principio generale simul stabunt, simul cadent, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332 e 4 aprile 2007, n. 1523). Con l’avvento del nuovo codice del processo amministrativo (d. lgs. n. 104/2010) si è infine imposta la nozione di inefficacia del contratto.

10 Settembre 2014   Nessun commento

IL RUOLO DEI DERIVATI FINANZIARI NELL’ECONOMIA GLOBALE E NELLO SCENARIO ITALIANO (2^ PARTE)

di Giuseppe Angiuli

 Seconda parte dell’articolo pubblicato sulla rivista “Indipendenza” n. 36, luglio/agosto 2014
(qui la prima parte)

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1 Settembre 2014   Nessun commento

DERIVATI: ADUSBEF PARTE CIVILE CONTRO LE BANCHE

Lannutti-foto

(ASCA) – Roma, 23 gen 2014 – L’Adusbef, l’associazione dei consumatori guidata da Elio Lannutti ha annunciato che si costituira’ parte civile ‘a tappeto’ in tutti i processi contro i banchieri per i ”derivati tossici”. [Continua a leggere →]

L’Associazione impegnata nella battaglia per la trasparenza nel rapporto banche-clienti inoltre ha gia’ messo a punto le azioni nei confronti di alcuni tra i piu’ grandi istituti di credito.

fonte: Agenzia Asca

23 Gennaio 2014   Nessun commento

DERIVATI AL COMUNE DI VERONA: SEQUESTRO DI 15 MILIONI PER MERRILL LYNCH

Si è appreso in data 3 ottobre che la Guardia di Finanza ha eseguito un provvedimento di sequestro penale preventivo per un valore di circa 15 milioni di euro ai danni di Merrill Lynch in relazione ad una vicenda di derivati swap stipulati dal Comune di Verona. Il provvedimento di sequestro sarebbe stato attuato su disposizione del GIP Rita Caccamo, che a sua volta avrebbe accolto la richiesta formulata dal sostituto procuratore Giulia Labia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona. Stando all’ipotesi investigativa, la banca d’affari avrebbe indotto il Comune di Verona a ristrutturare il suo debito sottoscrivendo derivati swap per oltre 250 milioni di euro senza indicare commissioni occulte per oltre 15 milioni, inficiando così la convenienza economica dell’operazione per il Comune.

3 Ottobre 2013   Nessun commento

DERIVATI: ADUSBEF, BANCHE A ENTI LOCALI TITOLI TOSSICI PER 23 MILIARDI DI EURO

(ASCA) – Roma, 3 ottobre 2013 – Allarme titoli tossici per i comuni italiani. ”Si stringe sempre piu’ la morsa, civile e penale, attorno alle banche che hanno piazzato titoli tossici agli enti locali, con contratti capestro e condizioni truffaldine, che non lasciano piu’ alibi o giustificazioni. Cosi’ le associazioni dei consumatori Adusbef e Federconsumatori in un comunicato. [Continua a leggere →]

Dopo la sentenza n.3459 dello scorso 18 settembre della Corte d’Appello di Milano (Presidente Maria Rosaria Sodano, consigliere relatore Carla Romana Raineri), di nullita’ dei contratti, che invece di offrire coperture tangibili, avevano l’unica finalita’ di garantire guadagni certi alle banche, e la condanna inflitta dal Pm di Milano Alfredo Robledo, a carico di Ubs, Jp Morgan, Deutsche Bank e Depfa Bank, che ha fatto recuperare 100 milioni di euro al Comune di Milano, c’e’ stato anche il processo a carico di 20 manager di Unicredit della Procura di Trani (Pm Isabella Ginefra), infine oggi e’ arrivato il sequestro preventivo, per l’importo di oltre 15 milioni di euro, disposto dalla Procura di Verona in relazione proprio ai derivati Merril Lynch venduti al comune di Verona”.
”Lo schema truffaldino scoperto dai finanzieri scaligeri nel corso delle indagini su Merril Lynch e’ analogo alle altre inchieste giudiziarie di mezza Italia (compresa la Procura di Catanzaro), che procedono per il reato di truffa aggravata: la banca d’affari avrebbe indotto il Comune di Verona a ritenere sussistenti le condizioni di convenienza economica di ristrutturazione del debito comunale, con la proposta di sottoscrivere operazioni in derivati per un importo nozionale superiore ai 256 milioni di euro, con l’occultamento doloso di commissioni, per l’importo di 15 milioni di euro, oggi sequestrati perche’ oggetto della frode”. Adusbef e Federconsumatori, a fronte di derivati tossici presenti nei bilanci di 206 gli enti Locali (che hanno sottoscritto contratti Irs per trasformare i mutui da tassi variabili a fisso), stimati in oltre 22,6 miliardi di euro, che hanno generato perdite potenziali per 6,7 miliardi di euro, invitano gli enti locali ad uscire allo scoperto con una offensiva giudiziaria di denuncia penale e di ricorsi in sede civile contro le banche, sottolineando che tali enti locali potranno trovare adeguata assistenza giuridica, legale e peritale da parte delle associazioni dei consumatori”.

Link all’articolo originale: http://www.asca.it/news-Derivati__Adusbef__banche_a_enti_locali_titoli_tossici_per_23_mld-1320839-ECO.html

3 Ottobre 2013   Nessun commento

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