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1 Agosto 2013   Nessun commento

LA CORTE D’APPELLO DI TRENTO DICHIARA NULLO UNO SWAP PRIVO DI FUNZIONE DI COPERTURA

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

La sentenza civile in commento (Corte d’Appello di Trento, n. 141, pubblicata il 3 maggio 2013), già segnalata sul sito Disastro Derivati oltre che su Il sole 24 ore del primo giugno 2013, è intervenuta a dirimere una controversia insorta nel 2009 tra una società alberghiera di Predazzo e la Banca di Trento e Bolzano (gruppo Intesa-San Paolo).

Nel febbraio 2006, le parti avevano stipulato un mutuo fondiario per il complessivo importo di € 1.800.000 ad un tasso d’interesse variabile agganciato al tasso euribor semestrale. [Continua a leggere →]

Solo qualche tempo dopo – ossia nel dicembre del 2006 – l’istituto aveva convinto la società alberghiera a dotarsi di uno strumento “di copertura” dal rischio di aumento dell’euribor, facendole dunque stipulare un derivato IRS denominato Gap Floater Swap.

Trascorsi poco più di 2 anni, l’impresa, stanca di vedersi addebitare dei flussi negativi sempre crescenti, aveva adito il Tribunale di Trento in primo grado, chiedendo che fosse dichiarata la nullità del contratto derivato per vizi di forma nonché per la conclamata mancanza di una sua funzione di copertura ovvero, in subordine, domandando che ne fosse pronunciato l’annullamento per vizio del consenso o la risoluzione per inadempimento agli obblighi informativi a carico dell’intermediario.

Con la sentenza di primo grado, il Tribunale di Trento aveva rigettato la domanda di nullità dello swap ma aveva affermato la mera responsabilità pre-contrattuale della banca per gli atti della fase preliminare alla stipula dell’IRS – specie per non avere messo in chiaro il valore iniziale negativo del mark to market – condannandola unicamente a restituire alla sua cliente, ai sensi dell’art. 1337 c.c., quanto da questa versato a titolo di commissione implicita, cioè poco più di € 13.000.

In particolare, l’organismo di prima istanza, nel respingere l’azione di nullità del contratto, aveva qualificato la presunta funzione di copertura non già quale causa (ossia funzione economico-sociale tipica del negozio) dello swap bensì come il mero “motivo affermato dalle parti al momento della stipula”. In tale ottica di idee, il Tribunale di primo grado era stato dell’avviso che, quand’anche tale dichiarata funzione di copertura, secondo le indicazioni emerse dalla espletata c.t.u., non si fosse realizzata in concreto, ciò non avrebbe potuto determinare una ricaduta sull’equilibrio generale del sinallagma contrattuale.

La società alberghiera non si era accontentata di tale statuizione (che accoglieva solo in minima parte le sue rimostranze) e così aveva impugnato la sentenza dinanzi al Collegio di secondo grado, insistendo sui già esposti vizi genetici e funzionali del contratto.

La Corte d’Appello di Trento ha integralmente riformato la sentenza di primo grado, ribaltandone gli assi portanti del ragionamento e dichiarando la nullità dello swap sia per il vizio di forma del contratto che per la rilevata mancanza di una causa concreta.

Quanto al vizio di forma, la Corte ha censurato l’assenza di ogni riferimento, all’interno del contratto-quadro, alla facoltà di recesso anticipato del cliente, come viceversa imposto dalla norma ex art. 30, comma 7 del T.U.F. e trattandosi, nella fattispecie, di un contratto pacificamente concluso all’interno dei locali ove aveva sede la società cliente.

Tale statuizione assume una grande rilevanza per tutti coloro i quali abbiano stipulato contratti derivati al di fuori dei locali dell’istituto bancario (ovvero li abbiano conclusi nella forma detta “a distanza”) soprattutto se la si legge in combinato con la recentissima pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione che, nel porre fine ad una lunga diatriba giurisprudenziale, hanno finalmente chiarito che la sanzione della nullità di che trattasi debba trovare applicazione ad ogni ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari(1), senza eccezione alcuna.

Una applicazione estesa del prefato principio potrebbe portare alla declaratoria di nullità di moltissimi contratti derivati privi della clausola di recesso nei sette giorni, specie se si tiene conto della discutibile prassi delle banche di inoltrare ai propri clienti la loro offerta contrattuale nelle forme di una lettera recapitata a domicilio.

Ma il punto più significativo della pronuncia in rassegna è senz’altro quello in cui i Giudici tridentini hanno preso posizione a favore della tesi della nullità del contratto di swap alla luce della riscontrata insussistenza della sua dichiarata funzione di copertura dal rischio di rialzo dei tassi.

A questo proposito, una c.t.u. svoltasi nella fase di primo grado ha consentito di ricostruire in modo rigoroso le caratteristiche dello swap e la sua concreta ricaduta sulla operazione di finanziamento a cui il prodotto derivato risultava connesso.

Sulla base di tale studio analitico, dunque, i Giudici di secondo grado sono pervenuti ad una valutazione negativa sulla idoneità del derivato IRS ad assolvere nel concreto ad una effettiva funzione di copertura del rischio e la loro motivazione sul punto si è ispirata ai princìpi generali fissati dalla CONSOB in alcune sue note comunicazioni ufficiali in materia (DI/98065074 del 6.8.1998, DI/99013791 del 26.2.1999 e DEM/1026875 dell’11.4.2001).

Per poter essere considerate “di copertura” – ha statuito la Corte d’Appello di Trento, richiamandosi alla CONSOB – le operazioni su strumenti finanziari derivati devono avere necessariamente le seguenti caratteristiche: a) siano esplicitamente poste in essere al fine di ridurre la rischiosità di altre posizioni detenute dal cliente; b) sia elevata la correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d’interesse, tipologia, ecc.) dell’oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine; c) siano adottate procedure e misure di controllo interno idonee ad assicurare che le condizioni di cui sopra ricorrano effettivamente”.

Nella fattispecie, al fine di negare la funzione di copertura dello swap, ha assunto un decisivo rilievo l’osservazione circa la scarsa correlazione tra le caratteristiche tecniche dello strumento finanziario e l’oggetto specifico della presunta copertura: in pratica, il capitale nozionale di riferimento del derivato (1 milione e trecentomila euro) non coincideva finanche con l’importo per il quale la società alberghiera risultava esposta nel mutuo all’atto della stipula dello swap (circa 1.750.000 euro); inoltre, mentre il tasso variabile cui era indicizzato il mutuo coincideva con l’euribor semestrale, il tasso variabile dell’IRS è risultato essere agganciato all’euribor a 3 mesi; infine, la durata residua del piano di ammortamento del mutuo è risultata essere molto più lunga (19 anni e mezzo) rispetto alla stessa scadenza del prodotto Gap Floater Swap (5 anni), al punto da fare ritenere più che improbabile la sua dichiarata funzione di copertura.

A tutto ciò si aggiunge quanto già rilevato dal Tribunale di primo grado a proposito del valore negativo del mark to market del prodotto fin dal momento della stipula dell’IRS, per neutralizzare i cui effetti la banca avrebbe dovuto necessariamente erogare un corrispondente importo (up front) a favore del cliente, a titolo di compensazione, cosa che invece non era stata fatta.

Alla luce di quanto sopra, la Corte d’Appello di Trento, rifacendosi alla teoria della cd. “causa concreta” del negozio, quale “funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto tipizzato” (Cass., S.U., n. 6538/2010) ha dichiarato la nullità del contratto interest rate swap difettando in esso proprio la causa concreta, requisito essenziale di ogni contratto (art. 1418, comma 2 in relazione all’art. 1325 n. 2, c.c.).

A differenza del consesso di prime cure, la Corte del gravame ha ritenuto che la funzione di copertura, asseritamente assolta da un derivato, debba ricadere nell’alveo concettuale della causa del contratto e non possa essere confusa con la diversa nozione di “motivo” del contratto.

La Banca di Trento e Bolzano è stata dunque condannata a rifondere la sua cliente di tutte le somme incamerate a titolo di differenziali negativi prodotti dall’IRS, per una somma di circa 95.000 euro, maggiorata degli interessi legali e delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

 Nota

* * *

Link al provvedimento

 

3 Maggio 2013   Nessun commento

LA CORTE DEI CONTI DENUNCIA IL PERICOLO DERIVATI E CHIEDE AGLI AMMINISTRATORI LOCALI DI AGIRE CONTRO LE BANCHE CHE HANNO VENDUTO LORO CONTRATTI DERIVATI

Gli enti locali che hanno sottoscritto strumenti finanziari derivati negli scorsi anni dovrebbero adottare “doverose iniziative volte alla risoluzione di contratti eccessivamente onerosi”. È uno dei passaggi della relazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti presentata lo scorso 5 febbraio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Nella stessa relazione si sottolinea come gli enti locali che intendessero avviare delle cause contro le banche che hanno venduto loro i derivati potrebbero contare su “notevoli aperture” sia del giudice ordinario (che può determinare la nullità del contratto) sia del giudice amministrativo (che può annullarlo d’ufficio per i potenziali danni per l’ente sottoscrittore).
La Corte dei Conti insiste in diversi passaggi su come i rischi dei derivati siano “molti e imprevedibili”, le operazioni prevedano “già in partenza condizioni sfavorevoli”, per gli enti spesso ci siano anche “rischi aggiuntivi”. Tutto questo fa si che “la probabilità che gli enti stessi possano effettivamente beneficiare di tali contratti in termini di protezione dal rischio di tasso d’interesse si presenti come assai remota”. [Continua a leggere →]

Nello stesso momento però, la relazione ricorda come in caso di mancata denuncia, “la condotta degli amministratori potrebbe essere censurata sotto il profilo della colpa grave”. Il bastone e la carota, insomma. La tipologia di derivati qui considerati permette infatti di “mascherare” o “spostare” un debito nel tempo. Sono strumento simili a quelli utilizzati da Monte Paschi per “abbellire” i suoi bilanci o dalla Grecia per truccare i propri conti e potere così entrare in Europa. Al posto di un debito l’ente in questione sottoscrive una scommessa basata su complicatissimi calcoli finanziari e dall’esito (quasi) sempre sfavorevole. I danni possono essere giganteschi. Nel breve termine, però, i debiti diminuiscono, e l’ente locale, la banca o il Paese che li hanno sottoscritti possono presentare bilanci in ordine nascondendo i problemi sotto il tappeto.
In pratica occorre quindi valutare se l’amministratore locale sottoscrive un derivato rischioso quanto incomprensibile per colpa della banca, o se invece non ci sia anche una convenienza diretta per truccare i bilanci pubblici e spostare i debiti (ingigantendoli) sulle future amministrazioni. La Corte dei Conti insiste quindi sulla “notevole apertura” del sistema giudiziario, sottolineando la disponibilità a riconoscere un comportamento potenzialmente scorretto da parte delle banche, ma ricordando che “in difetto di dette iniziative la condotta degli amministratori potrebbe essere censurata sotto il profilo della colpa grave ove si dimostri che le predette in base ad un giudizio di ragionevole prevedibilità avrebbero avuto notevoli possibilità di essere accolte”.
Un analogo invito viene fatto anche sul piano nazionale. Sempre nella relazione si legge che “l’utilizzo della finanza derivata concerne anche le amministrazioni centrali dello Stato che dagli anni 90 hanno fatto ampio ricorso a detti strumenti con possibili ripercussioni sui conti pubblici stante la natura di “debito sommerso” che i rischi collegati alla stipulazione dei contratti vengono ad assumere a tutti gli effetti”. Si ricorda come “alla data del 6 aprile 2012 il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammonta a circa 160 miliardi di euro”.
Particolarmente interessante il passaggio in cui si cita il caso del derivato stipulato nel 1994 con la Morgan Stanley, che l’Italia ha chiuso nel 2012 con una perdita di 2,6 miliardi di euro. Sempre nella relazione della Corte dei Conti, si legge che “malgrado i chiarimenti non è ancora dato sapere ad oggi quanti dei contratti in essere prevedano delle clausole di estinzione anticipata (Additional Termination Event) come quella presente nel contratto con la Morgan Stanley. Esigenze di trasparenza ed affidabilità dei conti pubblici, anche al fine di evitare fenomeni speculativi da parte della finanza internazionale, renderebbero opportuna la conoscenza di detto dato”.
In breve, nei prossimi anni le potenziali perdite per lo Stato, tanto per l’amministrazione centrale quanto per gli enti locali, potrebbero essere enormi. La Corte dei Conti e il sistema giudiziario segnalano quanto più esplicitamente possibile la disponibilità a valutare la correttezza del comportamento delle banche che hanno venduto i derivati e i rischi e costi occulti che potrebbero portare al loro annullamento. La palla passa adesso agli stessi amministratori e alla politica. Con una semplice domanda: sono stati vittime di una finanza malata o complici di una gigantesca truffa ai danni dei cittadini e delle future generazioni?

Fonte: Sbilanciamoci.info

 

11 Febbraio 2013   Nessun commento

I PRINCIPALI PRODOTTI DERIVATI. ELEMENTI INFORMATIVI DI BASE (GUIDA PUBBLICATA DALLA CONSOB)

3 Febbraio 2013   Nessun commento

DERIVATI, CONDANNATE LE BANCHE PER TRUFFA AL COMUNE DI MILANO

da “La Repubblica” del 19 dicembre 2012


A Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa Bank è stata comminata una pena pecuniaria da un milione di euro a testa, inoltre sono stati confiscati complessivamente ai quattro istituti 88 milioni. Robledo: “Sentenza storica”.
Punito uno dei meccanismi finanziari che hanno innescato la crisi globale

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19 Dicembre 2012   Nessun commento

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