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ANCHE IL TRIBUNALE DI TORINO SPOSA LA TESI DELLA NULLITA’ DEL CONTRATTO DERIVATO



Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

 Una recente sentenza del Tribunale Civile di Torino (17 gennaio 2014, I^ sez., est. Martinat, pubblicata su Il Caso.it, sez. Giurisprudenza, 9949) sembra porsi in evidente linea di continuità con l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dal celebre arret della Corte d’Appello di Milano del settembre 2013 (vedi commento su questo sito).

Come si ricorderà, la Corte ambrosiana aveva significativamente definito i derivati over the counter come delle “scommesse legalmente autorizzate”, spalancando le porte ad una nozione ampia di nullità del contratto per carenza genetica di causa.
Al contempo, i giudici milanesi avevano discettato sul carattere non decisivo della funzione economica perseguita dallo swap (se di copertura o speculativo) accantonando così la nozione di “causa concreta” del negozio, a cui fanno riferimento molti Tribunali di merito italiani nelle loro sentenze in materia di derivati IRS.

Il caso affrontato dalla prima sezione civile del Tribunale di Torino presenta una sua prima peculiarità degna di nota: il contratto derivato, nella fattispecie, non coinvolgeva un’attività imprenditoriale (come solitamente avviene) ma era stato negoziato da una semplice persona fisica in connessione ad un mutuo stipulato per l’acquisto della prima casa.
Il mutuo era dell’importo di € 175.000 e prevedeva un piano d’ammortamento di durata trentennale con tasso variabile.
La struttura dello strumento finanziario passato sotto la lente d’osservazione della Giustizia ricalcava le più note caratteristiche solitamente ricorrenti nei derivati interest rate swap, fondandosi su un meccanismo di scambio di flussi per il quale, ogni 6 mesi, il cliente pagava alla banca un tasso d’interesse fisso del 4,72% mentre l’istituto pagava al cliente il tasso euribor semestrale (entrambi calcolati su un capitale nozionale di riferimento pari a € 100.000).

Con il crollo dei tassi, il cliente della banca, pur pagando un interesse basso sul mutuo, proprio a causa del derivato aveva finito per accumulare dei differenziali passivi che avevano di fatto azzerato la presunta funzione di copertura a cui lo stesso strumento finanziario, secondo la prospettazione dell’istituto, avrebbe dovuto fungere, al punto tale da fargli lamentare di avere assunto un rischio maggiore con lo swap rispetto a quello assunto con il contratto di mutuo.

Il Tribunale di Torino, nella pronuncia in rassegna, fornisce la sua definizione del derivato swap, descrivendolo come “un contratto nominato ma atipico in quanto privo di disciplina legislativa (ovvero solo socialmente tipico), a termine, consensuale, oneroso e aleatorio” la cui funzione economica consiste “nella copertura di un rischio mediante un contratto aleatorio con la finalità di depotenziare le incertezze connesse ai costi dei finanziamenti oppure, in assenza di un rischio da cui cautelarsi, in una sorta di scommessa che due operatori contraggono in ordine all’andamento futuro dei tassi d’interesse”.

Il giudice piemontese si richiama espressamente alla celebre sentenza di Milano, riprendendone diversi passaggi non senza mantenere un qualche suo margine di originalità.
Anzitutto, anche in questo caso, si afferma che il contratto derivato, per poter reggersi su di una effettiva causa, deve assumere alcune caratteristiche indefettibili sin dal principio dell’operazione finanziaria.
Più precisamente, a detta del Tribunale torinese, il derivato, per poter dirsi conforme alla legge:
–       non deve porre costi impliciti a carico del cliente;
–       non deve avere un mark to market negativo all’inizio dell’operazione ovvero, nel caso di MTM negativo la banca deve comunque versare un up front di corrispondente importo;
–       deve presentare un’alea ben comprensibile dal cliente.

La sentenza in commento si muove lungo il solco già tracciato dalla Corte d’Appello di Milano soprattutto quando ribadisce la assoluta necessità di una opportuna consapevolezza, da parte del cliente della banca, circa l’entità del rischio assunto con la stipula dello swap.
Se è infatti possibile, per il nostro ordinamento, legittimare dei rapporti contrattuali in qualche modo squilibrati a favore di uno dei contraenti, non può essere accettato uno schema negoziale connotantesi per delle alee di cui lo stesso contraente non sia stato – preventivamente ed esaustivamente – messo al corrente.
E perché sia garantita al cliente della banca una adeguata consapevolezza sull’entità dell’alea connessa al contratto di swap, anche il giudice piemontese (al pari della Corte d’Appello di Milano) ha ritenuto essenziale la preventiva comunicazione del mark to market al momento della firma del contratto, a maggior ragione se esso – come è emerso nella fattispecie – aveva un valore inizialmente negativo.

L’unica considerazione che sembra fare discostare il Tribunale di Torino dall’arret della Corte ambrosiana attiene al concetto di “causa concreta”.
Mentre la sentenza di settembre dello scorso anno faceva intendere che lo schema di princìpi generali a presidio degli interessi del contraente debole non può che valere per qualsiasi tipologia di swap, potendosi dunque legittimamente parlare di “causa del contratto” in senso generale ed ampio, il Tribunale di Torino, viceversa, riprende un filone di ragionamento già seguito da numerosi Tribunali di merito e che tende a distinguere tra “causa in astratto” e “causa concreta(1).

Se, dunque, per i giudici milanesi, la mancanza nel derivato swap del requisito della consapevolezza sull’alea assunta produce una nullità del negozio per carenza genetica di “causa”, a prescindere dal fatto che si tratti di un derivato speculativo o di copertura, per il Tribunale di Torino è invece decisivo compiere un’accurata indagine volta ad individuare la “causa concreta” ossia il risultato economico voluto dalle parti.

Per il consesso torinese, “la causa quale elemento essenziale del contratto non deve essere intesa come mera ed astratta funzione economico sociale del negozio bensì come sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare e cioè come funzione individuale del singolo, specifico contratto, a prescindere dal singolo stereotipo contrattuale astratto”.
Seguendo tale filone di ragionamento, il Tribunale di Torino è pervenuto a dichiarare nullo lo swap per carenza di una “causa concreta” nel contratto, motivando sul fatto che la presunta funzione di copertura del prodotto, alla luce delle possibili previsioni sull’andamento dei tassi, era stata congegnata dalla banca sulla base di uno scenario (quello del possibile rialzo dei tassi) “non concretamente realizzabile”.

Quale conseguenza della declaratoria di nullità del negozio, il cliente della banca, in forza della disciplina in tema di ripetizione dell’indebito (art. 2033 cod. civ.), ha ottenuto la rifusione di tutti gli importi pagati a titolo di differenziali negativi prodotti dallo swap nel corso del rapporto, maggiorati degli interessi legali a far data dalla domanda giudiziale.

La pronuncia in commento si candida senza dubbio ad occupare una posizione significativa nell’ambito della giurisprudenza sui derivati, non soltanto perché essa proviene da un organismo giudiziario storicamente non molto sensibile agli interessi dei “contraenti deboli” ma anche perché costituisce uno dei primi segnali di consolidamento dell’orientamento che ha preso vita con la nota pronuncia della Corte d’Appello di Milano del settembre 2013.

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Sentenza integrale (in pdf)

 


Ex multis, Corte d’Appello di Trento, sentenza n. 141 del 2013 (commentata in DERIVATI.INFO a questo link); Tribunale di Bari, ordinanza del 15.7.2010, ibidem

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