Informazioni e osservatorio legale sugli strumenti finanziari derivati
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LEGITTIMA LA DECISIONE DI UN ENTE LOCALE DI ANNULLARE IN AUTOTUTELA LE OPERAZIONI IN STRUMENTI DERIVATI. IL CONSIGLIO DI STATO DA’ (PROVVISORIAMENTE) RAGIONE ALLA PROVINCIA DI PISA

Consiglio di Stato, sez. V, 7 settembre 2011 n. 5032

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

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16 Novembre 2011   Nessun commento

IL TRIBUNALE DI MILANO PRENDE POSIZIONE SUL CONCETTO GIURIDICO DI MARK TO MARKET

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

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26 Luglio 2011   Nessun commento

DERIVATI ED ENTI LOCALI: QUANDO IL CONTRATTO È NULLO

Commento a cura di Giorgio Mantovano, dottore commercialista, pubblicato sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 23 maggio 2011

Una recente pronuncia del Tribunale civile di Milano (sentenza del 14 aprile 2011, est. Ferrari, pubblicata in www.ilcaso.it) ha affermato, ed è questa la principale novità, che sono da ritenere nulli per difetto di causa quei contratti di swap, sottoscritti da Enti pubblici, che alla data della sottoscrizione presentavano un valore di mercato (il Mark to market) negativo e tale sbilanciamento non era stato compensato mediante l’erogazione, da parte della Banca, di un corrispondente premio di liquidità. [Continua a leggere →]

La sentenza si colloca, a pieno titolo, nell’acceso dibattito attualmente in corso, con rilevanti riflessi anche sul versante penale. Si pensi alle ipotizzate fattispecie di truffa aggravata, di falso e talora di usura in alcuni processi in corso dal rilevante clamore mediatico. Tra i nodi al pettine nel contenzioso in atto tra Enti locali e finanza derivata si segnalano: l’esistenza e legittimità delle commissioni cosiddette ‘implicite” bancarie, la loro omessa informazione al cliente, la realizzazione di operazioni speculative e non già di copertura dei rischi di variazione dei tassi di interesse, la non veridicità dell’attestazione del vincolo della convenienza economica a cui devono attenersi gli Enti locali nell’intraprendere tali operazioni. Come è noto, l’intermediazione finanziaria avviene in un contesto di asimmetrie informative. Complessità, costi dell’informazione e grado di cultura finanziaria determinano un deficit informativo in capo alla clientela degli intermediari. Tali circostanze, secondo la Consob, sono amplificate nel mercato O.T.C. (Over the counter). Qui sono trattati gli swaps, ossia gli strumenti derivati a cui, negli anni scorsi, prima dello stop sancito dal Legislatore, hanno fatto diffuso ricorso gli Enti locali per tutelarsi dai rischi legati alla variazione dei tassi di interesse. Purtroppo, però, per questi strumenti finanziari non sono disponibili mercati di scambio caratterizzati da adeguati livelli di liquidità e di trasparenza che possano fornire oggettivi parametri di riferimento, in grado di garantire effettivamente la valutazione del prezzo. E la maggior parte dei Comuni, oggi in fuga dai derivati, malgrado il rilascio, incauto o non adeguatamente consapevole, dell’attestazione di operatore qualificato, non è assolutamente attrezzata per stimare, ricorrendo a sofisticate competenze matematico-probabilistiche, il valore del prodotto derivato acquistato. Svolte queste necessarie premesse, giova ora ripercorrere brevemente i fatti sindacati dal Tribunale ambrosiano. Un ente locale, per il tramite del Dirigente preposto, aveva dapprima sottoscritto con la Banca un contratto quadro, avente ad oggetto la successiva conclusione di contratti in strumenti derivati; contestualmente il Dirigente aveva attestato, con propria dichiarazione, che il Comune era da ritenersi un “operatore qualificato”, privandolo, in tal modo, implicitamente, di tutta una serie di tutele e garanzie, altrimenti previste dal Legislatore. Successivamente, era stato conferito alla Banca un mandato di consulenza gratuita finalizzato all’acquisto degli strumenti finanziari, individuati, poi, in tre collar swap , con la dichiarata finalità di ristrutturare mutui già in essere.

Il Comune, nel trarre in giudizio la Banca, lamentava la nullità di tali contratti, poiché avrebbero dovuto essere strutturati con un valore iniziale pari a zero. Al contrario, presentavano un valore di mercato, all’atto della stipula, già fortemente negativo per l’Ente. Ed, inoltre, la struttura economica prevedeva dei limiti di rischio di rialzo dei tassi di interesse (Cap) irrealistici ed inverosimili, di fatto annullando la garanzia rappresentata dal tetto alle possibili perdite.
Il Consulente tecnico di ufficio accertava nei contratti sottoscritti un significativo sbilanciamento a carico dell’Ente, non compensato da un correlato premio di liquidità (cd. Up front). La difesa della Banca replicava criticamente, affermando che i contratti swap “par”, ossia con valore iniziale pari a zero, non possono esistere nella realtà, dovendo, comunque, essere remunerati sia i costi di ingegnerizzazione del prodotto derivato che le componenti di rischio assunte dalla Banca in ordine alla gestione del contratto. Questo argomento non è stato condiviso dal Tribunale ambrosiano in quanto è la normazione secondaria (allegato 3 al Regolamento Consob n.11522/1998 all’epoca vigente) a precisare che, alla stipula del contratto, il valore di uno swaps deve essere sempre nullo, potendo poi variare in senso negativo o positivo, a seconda di come si muove il parametro a cui è collegato il contratto. Circa poi l’esistenza di commissioni implicite esse, a parere del Tribunale, avrebbero dovuto ricevere adeguata trasparenza, in ossequio a quanto previsto alla lett. G) dell’art.61 del Regolamento Consob citato e dall’art.8 del contratto quadro, stipulato tra le parti. Al contrario, i contratti in questione non menzionavano dette commissioni, così come non esplicitavano il Mark to market negativo iniziale per il Comune. In definitiva, il macroscopico squilibrio iniziale, a carico dell’Ente locale, finiva con lo snaturare la funzione causale dello strumento finanziario derivato. La previsione, già in partenza, di una posizione in perdita risultava per il Giudice incompatibile con la funzione di ristrutturazione dei mutui già esistenti e gravanti sul bilancio del Comune. Il Mark to market negativo, ove non compensato da un corrispondente up front, finiva, così, con l’attribuire ai contratti in derivati una funzione speculativa, non consentita dal Legislatore. Da ciò la declaratoria di nullità, con la restituzione delle somme versate dal Comune ed il risarcimento dei danni patiti.

Giorgio Mantovano

 

Versione pdf dell’articolo

Link al provvedimento (pubblicato su www.ilcaso.it): http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/4151.php

 

 

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DERIVATI.INFO ringrazia il dott. Giorgio Mantovano per la cortese autorizzazione alla pubblicazione del commento

23 Maggio 2011   Commenti disabilitati su DERIVATI ED ENTI LOCALI: QUANDO IL CONTRATTO È NULLO

IL TRIBUNALE DI LECCE ORDINA AD UN ISTITUTO BANCARIO DI SOSPENDERE GLI ADDEBITI SU CONTO CORRENTE E DI RITIRARE LA SEGNALAZIONE ALLA CENTRALE RISCHI

Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

Con l’ordinanza del 9 maggio 2011, emessa in sede collegiale a seguito di reclamo proposto da una banca avverso un provvedimento cautelare di prime cure, il Tribunale di Lecce – sezione commerciale (Presidente e relatore il dott. Alessandro Silvestrini) ha respinto la richiesta dell’istituto volta a far venir meno gli effetti di un provvedimento con cui lo stesso organismo giudiziario aveva già accolto le ragioni della parte ricorrente. In primo grado, il giudice monocratico del Tribunale salentino aveva infatti ritenuto che, data la complessità della vicenda, tale da richiedere particolari approfondimenti di merito, sussistesse per intanto un pericolo di danno grave e irreparabile per la società acquirente di un derivato interest rate swap al punto da potersi subito sospendere, in via cautelare ed urgente, tanto l’addebito dei differenziali negativi sul conto corrente della stessa impresa quanto la consequenziale segnalazione alla Centrale Rischi.

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9 Maggio 2011   Commenti disabilitati su IL TRIBUNALE DI LECCE ORDINA AD UN ISTITUTO BANCARIO DI SOSPENDERE GLI ADDEBITI SU CONTO CORRENTE E DI RITIRARE LA SEGNALAZIONE ALLA CENTRALE RISCHI

IL TRIBUNALE DI BARI SI INTRATTIENE SUL CONCETTO DI “CAUSA CONCRETA” NEL CONTRATTO DI SWAP


Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

  L’ordinanza cautelare adottata dal Tribunale di Bari il 15.7.2010 (G.I. dott. Scoditti, pubblicata su www.ilcaso.it) si segnala per due significative prese di posizione:

  1. la fedele applicazione del principio fissato dal celebre arret della Corte di Cassazione (n. 12138/2009) in tema di efficacia della “autocertificazione” sul possesso dello status di operatore qualificato;
  2. la centralità attribuita al concetto di “causa concreta” nel negozio di interest rate swap.

Un’impresa pugliese, stanca di vedersi addebitare dei sempre più pesanti differenziali passivi derivanti da operazioni di interest rate swap negoziate con il proprio istituto, aveva proposto ricorso cautelare in corso di causa, chiedendo una pronuncia di immediato stop agli addebiti in conto corrente. [Continua a leggere →]

Dalla documentazione acquisita agli atti risultava che la stessa società, all’atto di stipulare il “contratto-quadro” sui servizi di investimento, avesse rilasciato alla banca, per mezzo di dichiarazione sottoscritta dal proprio legale rappresentante, la consueta attestazione positiva circa il suo possesso del controverso status di “operatore qualificato”, a cui faceva riferimento il noto art. 31 del regolamento CONSOB n. 11522, rimasto in vigore fino al 2.11.2007.

Agendo in giudizio, la società aveva poi negato la effettiva sussistenza, al proprio interno, di alcuna specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari, richiamandosi ad un diffuso orientamento dei Tribunali di merito che, prima che intervenisse la Cassazione con la nota pronuncia del maggio 2009, avevano sostanzialmente “smontato” la portata applicativa di tale forma di “autocertificazione”.

Il Tribunale di Bari, nel valutare la sussistenza dei presupposti di fumus boni iuris dell’istanza cautelare, non ha mostrato alcun dubbio nell’aderire al principio fissato dalla Corte nomofilattica, respingendo così il tentativo della società ricorrente di far valere il presunto inadempimento dell’intermediaria ai generali obblighi di comportamento dettati dagli artt. 27-30 reg. CONSOB cit.

Secondo il Giudice Istruttore barese, nella fattispecie, pur avendo la ricorrente allegato la discordanza tra il contenuto della suddetta “autocertificazione” e la situazione reale, essa non è riuscita a dimostrare la conoscenza – o concreta conoscibilità – da parte dell’intermediario mobiliare, di tale presunta discordanza. Più in particolare, il G.I. ha ritenuto di non poter dedurre alcun elemento utile in tal senso dalla mera lettura dei bilanci (1) pregressi della società (in cui in effetti non si faceva alcun riferimento alla previa stipulazione di contratti del tipo interest rate swap), non potendo peraltro escludersi la possibilità che la stessa società avesse svolto in passato analoghe attività di investimento finanziario presso altri operatori bancari.

Pur tuttavia, nonostante si sia vista riconoscere a livello giudiziale la qualifica di “operatore qualificato”, la società ricorrente ha potuto trovare sostegno, sempre sotto il profilo del fumus dell’azione cautelare, nella probabile sussistenza della nullità delle intervenute operazioni di ristrutturazione dello swap, alla luce della riscontrata mancanza di una “causa concreta” del contratto.

Ed è qui che si palesa la parte più interessante della pronuncia cautelare in discorso.

Il Tribunale di Bari, nel motivare il suo provvedimento di accoglimento delle ragioni della società ricorrente, si è mosso a partire da una compiuta definizione concettuale dello swap quale “contratto nominato ma atipico, in quanto privo di disciplina legislativa (ovvero solo socialmente tipico)”.

Ancora, lo swap è stato qualificato come contratto “a termine, consensuale, oneroso e aleatorio, contraddistinto per ciò che riguarda l’interest rate swap dallo scambio a scadenze prefissate dei flussi di cassa prodotti dall’applicazione di diversi parametri ad uno stesso capitale di riferimento (cd. nozionale)”.

Se è questa la definizione corretta da darsi al contratto, ergo, la causa (o funzione economico-sociale) dell’interest rate swap non può che risiedere nella “copertura di un rischio mediante un contratto aleatorio, con la finalità di depotenziare le incertezze connesse ai costi dei finanziamenti. In pratica la posta passiva derivante dall’aumento del tasso variabile relativo al finanziamento dovrebbe essere, nella prospettiva del cliente, neutralizzata dalla posta attiva costituita dal rapporto tra tasso fisso e tasso variabile nel rapporto di swap. Se però il tasso di interesse anziché aumentare crolla, ciò rappresenta un indubbio vantaggio quanto al rapporto di finanziamento, ma nell’ambito dello swap è il cliente a dover versare la differenza alla banca, e l’ammontare della perdita è direttamente proporzionale al livello di abbassamento del tasso.

L’ordinanza del Tribunale di Bari fotografa una situazione ampiamente riscontrata nella pratica del contenzioso in materia di derivati: sono numerose, infatti, le imprese (e gli enti pubblici) che, nel periodo fino agli anni 2007-2008 (e cioè prima che si assistesse ad un generale ribasso dei tassi sul mercato), sono stati indotti a stipulare dei prodotti interest rate swap con il dichiarato intento di coprirsi dal rischio di eccessivo rialzo dei tassi. Ma una volta che, a partire dalla fine del 2008, la curva dei tassi euribor ha iniziato a prendere una china inesorabilmente negativa (cioè di generale ribasso), quegli stessi strumenti finanziari, promessi come vantaggiosi per la parte debitrice, si sono rivelati, nei fatti, una vera e propria “trappola-mangiasoldi” per via dei differenziali di cassa sempre più sfavorevoli ai clienti delle banche.

Sul solco del suddetto ragionamento, il Tribunale di Bari ha ritenuto meritevole di accoglimento la doglianza della società ricorrente, che denunciava, a proposito delle operazioni di ristrutturazione dello swap suggerite medio tempore dalla banca, l’inadeguatezza ab origine di tali operazioni nel realizzare il dichiarato scopo di copertura dal rischio di rialzo dei tassi.

E infatti, l’aver incorporato, all’interno delle ristrutturazioni dello swap, la vecchia passività accumulata dall’impresa, unitamente a costi impliciti non dichiarati e per di più con l’aggravante di aver previsto dei tassi fissi di riferimento sempre crescenti a danno della cliente, ha evidentemente comportato – sempre secondo il Tribunale di Bari – la preclusione sin dall’inizio della possibilità di perseguire quella che è stata ritenuta l’unica possibile causa concreta del negozio interest rate swap, vale a dire la copertura del rischio.

Rimandando ad un migliore approfondimento, in sede di merito, circa i meccanismi aritmetici sottesi alla ristrutturazione del prodotto, il Tribunale ha ritenuto per intanto di ravvisare un “verosimile difetto genetico di causa dei contratti stipulati in sede di ristrutturazione del debito” ed ha al contempo riscontrato il periculum in mora nella perdita del merito creditizio che si riverberebbe sulla stessa esistenza dell’attività imprenditoriale: alla luce di tali elementi, l’organo giurisdizionale ha dunque ordinato alla banca, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., di sospendere gli addebitamenti in conto corrente di tutti i differenziali negativi derivanti dagli swap in essere.

L’importanza della pronunzia in rassegna discende pertanto dall’avere essa valorizzato in senso decisivo la nozione di causa concreta del contratto di swap, in linea con gli insegnamenti generali della giurisprudenza di legittimità, che negli ultimi anni ha rimarcato in più occasioni come il requisito causale del contratto vada individuato nello scopo pratico del negozio, quale sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (cfr. Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10490; nello stesso senso, Cass., 12 novembre 2009, n. 23941; il principio è stato altresì richiamato da Cass., sezioni unite, n. 26972/2008 e n. 3947/2010).

Sotto tale profilo, l’accertamento dell’effettiva impossibilità di perseguire la causa concreta della copertura del rischio in operazioni di interest rate swap dischiude le porte alla nullità contrattuale per difetto genetico di causa.

NOTE
(1) E’ noto a tutti il generale principio dettato dall’art. 2709 cod. civ., a mente del quale i libri e le altre scritture contabili di una società, di regola, fanno prova contro l’imprenditore.

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Link al provvedimento:

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2360.php

15 Luglio 2010   Nessun commento

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