DERIVATI ED ENTI LOCALI: QUANDO IL CONTRATTO È NULLO
Commento a cura di Giorgio Mantovano, dottore commercialista, pubblicato sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 23 maggio 2011
Una recente pronuncia del Tribunale civile di Milano (sentenza del 14 aprile 2011, est. Ferrari, pubblicata in www.ilcaso.it) ha affermato, ed è questa la principale novità, che sono da ritenere nulli per difetto di causa quei contratti di swap, sottoscritti da Enti pubblici, che alla data della sottoscrizione presentavano un valore di mercato (il Mark to market) negativo e tale sbilanciamento non era stato compensato mediante l’erogazione, da parte della Banca, di un corrispondente premio di liquidità.
La sentenza si colloca, a pieno titolo, nell’acceso dibattito attualmente in corso, con rilevanti riflessi anche sul versante penale. Si pensi alle ipotizzate fattispecie di truffa aggravata, di falso e talora di usura in alcuni processi in corso dal rilevante clamore mediatico. Tra i nodi al pettine nel contenzioso in atto tra Enti locali e finanza derivata si segnalano: l’esistenza e legittimità delle commissioni cosiddette ‘implicite” bancarie, la loro omessa informazione al cliente, la realizzazione di operazioni speculative e non già di copertura dei rischi di variazione dei tassi di interesse, la non veridicità dell’attestazione del vincolo della convenienza economica a cui devono attenersi gli Enti locali nell’intraprendere tali operazioni. Come è noto, l’intermediazione finanziaria avviene in un contesto di asimmetrie informative. Complessità, costi dell’informazione e grado di cultura finanziaria determinano un deficit informativo in capo alla clientela degli intermediari. Tali circostanze, secondo la Consob, sono amplificate nel mercato O.T.C. (Over the counter). Qui sono trattati gli swaps, ossia gli strumenti derivati a cui, negli anni scorsi, prima dello stop sancito dal Legislatore, hanno fatto diffuso ricorso gli Enti locali per tutelarsi dai rischi legati alla variazione dei tassi di interesse. Purtroppo, però, per questi strumenti finanziari non sono disponibili mercati di scambio caratterizzati da adeguati livelli di liquidità e di trasparenza che possano fornire oggettivi parametri di riferimento, in grado di garantire effettivamente la valutazione del prezzo. E la maggior parte dei Comuni, oggi in fuga dai derivati, malgrado il rilascio, incauto o non adeguatamente consapevole, dell’attestazione di operatore qualificato, non è assolutamente attrezzata per stimare, ricorrendo a sofisticate competenze matematico-probabilistiche, il valore del prodotto derivato acquistato. Svolte queste necessarie premesse, giova ora ripercorrere brevemente i fatti sindacati dal Tribunale ambrosiano. Un ente locale, per il tramite del Dirigente preposto, aveva dapprima sottoscritto con la Banca un contratto quadro, avente ad oggetto la successiva conclusione di contratti in strumenti derivati; contestualmente il Dirigente aveva attestato, con propria dichiarazione, che il Comune era da ritenersi un “operatore qualificato”, privandolo, in tal modo, implicitamente, di tutta una serie di tutele e garanzie, altrimenti previste dal Legislatore. Successivamente, era stato conferito alla Banca un mandato di consulenza gratuita finalizzato all’acquisto degli strumenti finanziari, individuati, poi, in tre collar swap , con la dichiarata finalità di ristrutturare mutui già in essere.
Il Comune, nel trarre in giudizio la Banca, lamentava la nullità di tali contratti, poiché avrebbero dovuto essere strutturati con un valore iniziale pari a zero. Al contrario, presentavano un valore di mercato, all’atto della stipula, già fortemente negativo per l’Ente. Ed, inoltre, la struttura economica prevedeva dei limiti di rischio di rialzo dei tassi di interesse (Cap) irrealistici ed inverosimili, di fatto annullando la garanzia rappresentata dal tetto alle possibili perdite.
Il Consulente tecnico di ufficio accertava nei contratti sottoscritti un significativo sbilanciamento a carico dell’Ente, non compensato da un correlato premio di liquidità (cd. Up front). La difesa della Banca replicava criticamente, affermando che i contratti swap “par”, ossia con valore iniziale pari a zero, non possono esistere nella realtà, dovendo, comunque, essere remunerati sia i costi di ingegnerizzazione del prodotto derivato che le componenti di rischio assunte dalla Banca in ordine alla gestione del contratto. Questo argomento non è stato condiviso dal Tribunale ambrosiano in quanto è la normazione secondaria (allegato 3 al Regolamento Consob n.11522/1998 all’epoca vigente) a precisare che, alla stipula del contratto, il valore di uno swaps deve essere sempre nullo, potendo poi variare in senso negativo o positivo, a seconda di come si muove il parametro a cui è collegato il contratto. Circa poi l’esistenza di commissioni implicite esse, a parere del Tribunale, avrebbero dovuto ricevere adeguata trasparenza, in ossequio a quanto previsto alla lett. G) dell’art.61 del Regolamento Consob citato e dall’art.8 del contratto quadro, stipulato tra le parti. Al contrario, i contratti in questione non menzionavano dette commissioni, così come non esplicitavano il Mark to market negativo iniziale per il Comune. In definitiva, il macroscopico squilibrio iniziale, a carico dell’Ente locale, finiva con lo snaturare la funzione causale dello strumento finanziario derivato. La previsione, già in partenza, di una posizione in perdita risultava per il Giudice incompatibile con la funzione di ristrutturazione dei mutui già esistenti e gravanti sul bilancio del Comune. Il Mark to market negativo, ove non compensato da un corrispondente up front, finiva, così, con l’attribuire ai contratti in derivati una funzione speculativa, non consentita dal Legislatore. Da ciò la declaratoria di nullità, con la restituzione delle somme versate dal Comune ed il risarcimento dei danni patiti.
Giorgio Mantovano
Link al provvedimento (pubblicato su www.ilcaso.it): http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/4151.php
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DERIVATI.INFO ringrazia il dott. Giorgio Mantovano per la cortese autorizzazione alla pubblicazione del commento