IN MANCANZA DI ESPLICITAZIONE DEL CRITERIO DI CALCOLO DEL MARK TO MARKET, IL CONTRATTO DI SWAP E’ NULLO
Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli
Come avevamo già rilevato su questo sito nel commentare la sentenza del Tribunale di Milano n. 7398 del giugno 2015, in questi ultimi tempi le pronunce più significative della giurisprudenza in tema di contratti derivati mostrano di attribuire un valore maggiormente decisivo all’elemento dell’oggetto del contratto, anziché a quello della causa, come pareva avvenire fino a qualche tempo addietro.
Anche la più recente sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 9 marzo 2016 (n. 3070, VI^ sez. civile, giudice monocratico dott. Ferrari), pubblicata sulla rivista online dirittobancario.it, intervenuta in una vicenda riguardante un classico archetipo di interest rate swap collegato ad un mutuo a tasso variabile, sembra muoversi lungo quella scia di pronunce che, dando per scontata la natura aleatoria del contratto derivato, aderiscono ad una sua nozione come “scommessa legalmente autorizzata”, una definizione inaugurata dal celebre arret della Corte d’Appello di Milano del settembre 2013 (cfr. sentenza n. 3459 del 18 settembre 2013, già commentata su DERIVATI.INFO).
Secondo la pronuncia in commento, nel derivato di tipo swap “la componente aleatoria è intrinseca alla natura del contratto”, la cui causa coinciderebbe proprio con la scommessa ossia con lo scambio consapevole delle due alee che entrambi i contraenti (la banca ed il cliente) scelgono reciprocamente di assumersi.
Differenziandosi da un orientamento che aveva preso corpo qualche anno addietro (cfr. ex plurimis Trib. Bari, ordinanza 15 luglio 2010; Trib. Orvieto, ordinanza 12 aprile 2012; Corte Appello Trento, sentenza 3 maggio 2013, n. 141), la sentenza del 9 marzo 2016 esclude che in un contratto di swap l’eventuale eccessivo sbilanciamento tra le alee rispettivamente assunte dai due contraenti possa incidere sulla validità genetica del negozio sotto il profilo della nullità della causa: viceversa, secondo la prospettiva sposata dal Tribunale di Milano, anche in presenza di un forte squilibrio tra il rischio assunto dal cliente e quello assunto dalla banca, il contratto rimane valido purchè ciascuna delle parti si sia fatta comunque carico di una qualche componente di alea.
Sotto questo profilo, ribadendo quanto già affermato con la citata pronuncia del giugno del 2015 (sentenza 16 giugno 2015, n. 7398, già commentata su DERIVATI.INFO), il giudice ambrosiano ha ribadito la normalità della scelta per un investitore che abbia consapevolmente deciso di assumere anche un forte rischio al fine di tentare di conseguire un forte vantaggio e pertanto “solo in casi limite si potrà arrivare a dire che il contratto non è aleatorio, quando cioè al rischio dell’uno non corrisponda il rischio dell’altro”.
Fatta questa premessa, il Tribunale di Milano ha dovuto occuparsi di statuire sulla domanda di nullità del contratto di swap che la parte attrice aveva formulato muovendo dalla denuncia sulla omessa specificazione, all’interno del regolamento negoziale, dei criteri di computo del Mark to Market (MtM).
Sul punto in questione, deve segnalarsi la affermazione più significativa tra quelle contenute nella pronuncia in commento.
Com’è noto, il MtM è un valore costantemente variabile del prodotto derivato ed esprime in ogni momento la sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi sulla base degli indici di riferimento. In questo senso, in caso di risoluzione anticipata del contratto, il MtM funge anche da costo di sostituzione del prodotto.
Secondo la sentenza in rassegna, inoltre, il MtM è definibile quale elemento essenziale del contratto derivato: in buona sostanza, esso rappresenta, “sia pure nella dimensione temporalmente contestualizzata, un differenziale tra contrapposti flussi finanziari, ossia l’oggetto stesso del contratto” e per tale ragione esso deve sempre presentare le caratteristiche di elemento determinato ovvero, quanto meno, determinabile, pena la nullità del negozio.
A conforto di una nozione del MtM da intendersi quale oggetto stesso del contratto derivato, il Tribunale di Milano è tornato a fare riferimento alla norma dell’art. 2427 bis del codice civile, laddove il legislatore ha previsto l’obbligo per le società di indicare tra i dati di bilancio il valore di fair value incorporato da ciascuna operazione in strumenti derivati da esse detenuta.
E seguendo tale filo di ragionamento, affinché l’oggetto del contratto di swap presenti le caratteristiche di determinatezza o determinabilità prescritte dall’art. 1346 cod. civ., è indispensabile che all’interno delle condizioni contrattuali sia contenuta in forma trasparente ed esaustiva l’indicazione del criterio matematico attraverso cui addivenire in ogni momento al calcolo del MtM.
Nella fattispecie in esame, il Tribunale di Milano ha preliminarmente ritenuto insufficiente il richiamo, operato dalla banca all’interno del regolamento contrattuale de quo, alle generali “condizioni praticate da controparti di mercato su operazioni sostitutive di quella oggetto del contratto risolto e aventi uguali caratteristiche” giacchè una formulazione così generica dei criteri di calcolo del MtM potrebbe certamente condurre a soluzioni e disunivoche ed arbitrarie, rimesse unicamente alla volontà di uno dei contraenti, ossia la banca.
Al contempo, avendo ravvisato la mancata esplicitazione di un metodo matematico univocamente applicabile per il computo del MtM, lo stesso Tribunale, in applicazione dell’art. 1418, secondo comma, cod. civ., ha pronunciato la nullità dello swap alla luce della riscontrata indeterminatezza dell’oggetto del contratto.
Da ultimo, la pronuncia in rassegna ha affermato il principio della prescrizione decennale per la domanda di ripetizione di tutti i flussi differenziali generati dal contratto di swap, trattandosi di azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ. e su tale base ha condannato l’istituto bancario a restituire al cliente una somma pari a circa 655.000 euro.
Link al provvedimento integrale dal sito DIRITTOBANCARIO.IT