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PER IL TRIBUNALE DI MILANO, IL MARK TO MARKET FA PARTE DELL’OGGETTO DEL CONTRATTO DERIVATO



Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

Una recente e interessantissima pronuncia del Tribunale di Milano (VI^ sez. civile, giudice monocratico dott. Ferrari, sentenza n. 7398 del 16.6.2015, pubblicata su www.ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, 12916) si segnala per alcune sue significative prese di posizione inerenti alla nozione di contratto derivato e, più in particolare, al concetto di Mark to market.

La vicenda in commento aveva preso il via nel 2003 con alcune operazioni finanziarie in derivati swap su tassi d’interesse negoziate tra l’istituto Intesa-Sanpaolo ed alcune imprese lombarde, tutte afferenti al medesimo gruppo societario  ed operanti nel settore dell’edilizia.

Nel corso di un decennio, le aziende clienti (nel frattempo confluite in un’unica società-capogruppo) erano state indotte, sempre su sollecitazione della banca, a rinegoziare più volte l’operazione in swap con la particolarità che, in occasione di ciascuna di tali rinegoziazioni, il valore negativo del Mark to market del prodotto era sempre stato incorporato nel nuovo contratto sotto forma di up front.

Al momento di agire in giudizio contro la banca onde ripetere tutti i differenziali negativi generati dal contratto derivato – ammontanti a complessivi 745.000 euro – la società attrice aveva puntato, oltre che sull’azione di nullità del contratto per mancanza di “causa concreta”, anche sulla asserita omessa specificazione dei criteri di determinazione del valore di Mark to Market dello strumento finanziario.

Il provvedimento in esame, collocandosi nel solco dell’indirizzo giurisprudenziale inaugurato dalla celebre pronuncia della Corte d’Appello milanese del settembre 2013, già commentata su questo sito (http://www.derivati.info/per-la-corte-dappello-di-milano-il-derivato-otc-e-una-scommessa-legalmente-autorizzata/), ripropone innanzitutto la definizione del contratto derivato inteso quale “scommessa legalmente autorizzata”.

Secondo il Tribunale di Milano, il contratto derivato si connota in modo essenziale per la sua natura intrinsecamente aleatoria: esso può, dunque, a buona ragione definirsi “una scommessa legalmente autorizzata a fronte di un interesse meritevole di disciplina” con la precisazione che detta natura aleatoria non costituisce prerogativa esclusiva dei derivati a carattere speculativo ma ben si confà anche a quelli di copertura.

Il giudice ambrosiano pronuncia una prima affermazione importante allorquando ritiene di escludere che un eventuale squilibrio tra le alee rispettivamente assunte dai due contraenti – ossia la banca e il suo cliente – possa di per sé inficiare la validità del contratto derivato “purchè ciascuna delle parti, scommettendo, si assuma un grado (anche sbilanciato) di rischio: un investitore può anche assumersi un forte rischio al fine di tentare di avere un forte vantaggio e solo in casi limite si potrà arrivare a dire che il contratto non è aleatorio, quando cioè al rischio dell’uno non corrisponda il rischio dell’altro” (cfr. a pag. 17 del provvedimento).

Una volta delimitati i confini del rischio legale e legittimo all’interno dei contratti derivati, il Tribunale meneghino si spinge in una accurata analisi della funzione che l’elemento del Mark to Market (o valore corrente di mercato) riveste nell’economia complessiva nonché nella stessa struttura giuridica del sinallagma contrattuale in discorso.

Più in particolare, la sentenza in oggetto si sofferma nel discettare attorno al concetto di determinabilità del Mark to Market del derivato alla stregua del principio generale di cui all’articolo 1346 del codice civile[1].

In via generale, nei contratti del tipo interest rate swap (IRS) il valore del Mark to Market viene solitamente riferito alle rilevazioni quotidiane dei tassi di interesse assunti come indici di riferimento per la stessa struttura del derivato.

Anche nel giudizio in discorso, la banca si è difesa dall’addebito mossale circa la asserita indeterminabilità dei criteri di computo del MtM sostenendo come in ogni contratto IRS i reciproci flussi finanziari siano determinati in relazione all’andamento dei rispettivi tassi d’interesse richiamati dallo swap.

Ma il Tribunale di Milano ha ritenuto che tale semplice richiamo all’andamento variabile delle quotazioni dei tassi d’interesse non sia affatto sufficiente a definire in termini di oggettiva determinabilità il criterio di computo del Mark to Market all’interno di un contratto swap.

A detta del giudice ambrosiano, “il Mark to Market, quale sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi sulla base delle condizioni dell’indice di riferimento al momento della sua quantificazione, ovviamente presuppone il richiamo al tasso di interesse ma necessita altresì di essere sviluppato attraverso un conteggio che, mediante il ricorso a differenti formule matematiche, consenta di procedere all’attualizzazione dello sviluppo prognostico del contratto sulla base dello scenario esistente al momento del calcolo del MtM ” (cfr. a pag. 19 del provvedimento).

Pertanto, secondo il Tribunale milanese, affinchè il Mark to Market si qualifichi come determinabile, è indispensabile che il regolamento contrattuale dello swap espliciti la specifica formula matematica – tra le tante astrattamente possibili – a cui le parti possano riferirsi al fine di procedere “all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente”.

In altre parole, per la sentenza in esame, se si ritenesse che, per determinare il MtM di un derivato IRS, fosse sufficiente operare un semplice richiamo alle sole rilevazioni periodiche dei tassi d’interesse di riferimento senza al contempo indicare i criteri matematici di calcolo da adottarsi per attualizzare i differenziali futuri, ciò equivarrebbe a rendere arbitraria ed unilaterale la determinazione dello stesso MtM del prodotto finanziario.

E poiché, sempre secondo la pronuncia in rassegna, il MtM è un elemento essenziale del contratto ed anzi, esso rappresenta “l’oggetto stesso del contratto”, una sua eventuale indeterminabilità – come rilevato nel caso de quo – non può che condurre alla nullità della relativa clausola con automatica estensione dell’invalidità all’intero negozio, agli effetti di cui all’art. 1418 del codice civile.

A sostegno della sua tesi, il giudice ambrosiano ha argomentato sulla base del dato normativo ex art. 2427 bis cod. civ., che impone alle società di capitali di indicare sempre, all’interno della nota integrativa di bilancio, il fair value di ogni contratto derivato da esse detenuto.

Tale previsione normativa – si legge a pagina 22 della sentenza in rassegna – conferma come il Mark to Market, lungi dal configurarsi solo come elemento eventuale del contratto, sia piuttosto una componente necessaria del suo oggetto, tanto da dover essere esplicitata in sede di bilancio”.

In conclusione, la pronuncia in commento è tra quelle destinate certamente a lasciare il segno, poiché attribuisce per la prima volta all’elemento dell’oggetto del contratto di swap quella analoga rilevanza decisiva, ai fini dell’accoglimento delle azioni di nullità contrattuale, che fino ad ora la giurisprudenza italiana era sembrata attribuire prevalentemente al distinto elemento della causa del negozio [2].

* * *

Link al provvedimento: articolo sul sito ilcaso.it

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Note:

[1] L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile.

[2] Tra le diverse pronunce che nel recente passato avevano accolto la tesi sulla nullità del contratto derivato per difetto genetico di causa, cfr. Tribunale di Orvieto, ordinanza del 12 aprile 2012, pubblicata su www.ilcaso.it  e commentata su www.derivati.info; Corte d’Appello di Trento, n. 141, sentenza del 3 maggio 2013, ibidem; Corte d’Appello di Milano, I^ sez. civile, sentenza n. 3459 del 18.9.2013, ibidem.

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