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LA CASSAZIONE RIBADISCE I REQUISITI DI VALIDITA’ DI UN CONTRATTO DERIVATO



Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

La Suprema Corte di Cassazione torna a ribadire quali elementi contenutistici essenziali debbano essere inesorabilmente scrutinati all’interno di uno schema contrattuale afferente ai derivati del tipo interest rate swap, imponendo così d’imperio anche alla magistratura di merito capitolina di adeguarsi alla giurisprudenza nomofilattica delineatasi a partire dal celebre arrêt delle sezioni unite civili, avutosi con la nota sentenza del 12 maggio 2020, n. 8770, già commentata su questo sito (1).

La vicenda approdata dinanzi ai giudici ermellini ha preso vita dalle doglianze di una società privata, operante nel settore farmaceutico, che aveva adito la magistratura civile romana nei gradi di merito, instando per la nullità di due operazioni in strumenti finanziari swap su tassi d’interesse lamentando, in particolare, una serie di violazioni da parte di banca B.N.L. rispetto a molteplici parametri di correttezza e trasparenza nella fase della stipula di due distinti contratti derivati, rispettivamente risalenti al 2007 ed al 2008.

Sia il Tribunale Civile che la Corte d’Appello di Roma avevano respinto le domande giudiziali formulate dalla società attrice/appellante, ritenendo erroneamente che un’omessa esplicitazione al cliente dei costi reali di un’operazione in strumenti derivati ed una non esatta determinazione a monte delle alee sottese allo schema dello stesso contratto non potessero configurarsi quali profili di invalidità di un negozio interest rate swap.

La prima sezione civile della Cassazione (Presidente Cesare, Consigliere relatore Falabella), con sentenza n. 24654/2022, pubblicata il 10 agosto 2022, ha ricondotto in riga gli organismi di merito della magistratura capitolina, cassando con rinvio la pronuncia di secondo grado nella parte in cui essa aveva escluso l’evenienza, nel comportamento omissivo della banca intermediaria, di profili genetici tali da viziare alla radice la validità e l’efficacia dell’accordo negoziale inter partes.

I giudici della Suprema Corte, richiamando esplicitamente l’intervento nomofilattico del maggio 2020, hanno dunque ribadito l’importanza decisiva di quegli elementi contenutistici già indicati dalle sezioni unite come essenziali a pena di nullità del negozio e che debbono sempre ed indefettibilmente ritenersi fare parte dell’oggetto di un contratto derivato.

La parte decisiva della pronuncia in commento è reperibile a pag. 11 della sentenza e merita di essere qui riportata per esteso, in omaggio alla sua chiarezza adamantina: «In tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che non si può limitare al mark to market, ossia al costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo».

Nell’aprire le porte alla declaratoria di nullità dei due contratti derivati oggetto di causa – cui ora sarà chiamata ad adeguarsi la Corte d’Appello di Roma nel successivo giudizio di rinvio – i giudici ermellini hanno avuto modo di precisare che la mancanza dell’indicazione del valore di mark-to-market, nonché di tutti gli altri costi e degli scenari probabilistici connessi ad un contratto interest rate swap non ricade propriamente sotto la sanzione della cd. nullità virtuale, come espressione della violazione di norme imperative a cui accenna l’art. 1418, primo comma, c.c.

Viceversa, a detta della Corte di Cassazione, le citate gravi omissioni nel comportamento della banca debbono essere valutate come un fattore di nullità strutturale del contratto, in quanto le omissioni in parola sono tali da fare venire meno alla radice alcuni degli elementi essenziali di un contratto (in primis: la causa e la determinabilità dell’oggetto), come indicati dal secondo comma dello stesso articolo 1418 del codice civile.

I magistrati della I^ sezione civile della Suprema Corte hanno dunque ritenuto di esprimersi in perfetta consonanza, ai sensi del terzo comma dell’art. 374 c.p.c., rispetto al principio di diritto già fissato nel 2020 dall’intervento chiarificatore delle sezioni unite ed hanno pertanto ribadito di collocare sul piano della nullità del contratto la tutela del cliente della banca, in tutti i casi in cui l’operazione in derivati sia stata connotata dalla presenza di costi occulti estranei ad una trattativa trasparente tra le parti.

La sentenza in rassegna si segnala dunque come un significativo rafforzamento dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità già espresso in tema di requisiti di validità dei contratti derivati, in linea con analoghi pronunciamenti sia recentissimi (Cass. civ., sez. I, sent. 1 luglio 2022, n. 21008) che relativamente recenti (Cass. civ., sez. I, sent. 29 luglio 2021, n. 21830).

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Clicca qui per leggere la sentenza in forma integrale

Contratti derivati ed enti locali: le sezioni unite della cassazione fissano dei punti fermi, commento a cura di G. Angiuli, http://www.derivati.info/contratti-derivati-ed-enti-locali-le-sezioni-unite-della-cassazione-fissano-dei-punti-fermi/.

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