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PER IL TRIBUNALE DI VERONA E’ LEGITTIMA LA COMMISSIONE IMPLICITA IN UNO SWAP



Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli

La sentenza n. 2660/2012 emessa dalla IV^ sezione civile del Tribunale di Verona (Presidente Mirenda, estensore Vaccari, pubblicata su www.ilcaso.it) si segnala per una presa di posizione indubbiamente favorevole alla diffusa prassi bancaria di negoziare prodotti swap che, fin dal momento della stipula, comportino l’addebito di un costo occulto a carico dei clienti.

Nel caso in rassegna, un’azienda veneta, dopo avere stipulato sei contratti derivati in un periodo di quattro anni, tutti con la dichiarata funzione di copertura verso il rischio di aumento dei tassi (e ciascuno dei quali aveva gradualmente sostituito quello precedente), aveva adìto la giurisdizione al fine di sentire dichiarare annullate o risolte tutte le operazioni di interest rate swap progressivamente concluse.

Come avviene molto spesso nella prassi bancaria, anche in questo caso ciascuna nuova operazione di swap aveva finito per assorbire quella precedentemente in vigore tra le parti, introiettandone il relativo valore (negativo) all’atto della rinegoziazione.

Il Tribunale di Verona, con una sua prima ferma statuizione, ha innanzitutto escluso che il cliente di una banca possa agire per fare dichiarare la risoluzione contrattuale di operazioni in swap già estintesi al momento della domanda giudiziale, per essere state nel frattempo risolte consensualmente e incorporate in nuove operazioni sostitutive.

Difatti, poiché una qualunque pronuncia risolutoria postula necessariamente la vigenza del contratto che ne costituisce l’oggetto, a detta del consesso veneto non è più possibile chiedere la risoluzione di contratti swap una volta che essi abbiano già cessato di produrre effetti giuridici e pertanto, qualunque domanda giudiziale (di accertamento della nullità ovvero di risoluzione) non può che investire sempre e soltanto l’ultimo derivato stipulato in ordine di tempo.

Non merita particolare rilievo un altro punto della sentenza de qua in cui il Tribunale scaligero, uniformandosi al noto orientamento inaugurato da Cass. civ., n. 12138 del 2009, ha ritenuto di non poter prendere in considerazione la denunciata violazione di alcuni generali obblighi comportamentali dell’intermediario (in particolare, quelli posti dagli artt. 27, 28, 29 e 30 del regolamento CONSOB n. 11522/1998), avendo il legale rappresentante della società attrice sottoscritto la controversa dichiarazione auto-attestante la caratteristica di operatore qualificato, prevista dall’art. 31 del vecchio regolamento intermediari.

Ma la parte più significativa della pronuncia in commento investe – come detto – la controversa questione della rilevanza assunta dai cosiddetti costi occulti o impliciti connessi ad un derivato al momento della sua negoziazione.

Anche in questo caso, il cliente dell’istituto aveva lamentato di non essere stato messo al corrente circa l’esistenza di tale costo al momento di negoziare ogni singola operazione e su tale presunta omissione aveva fondato la sua domanda di annullamento del contratto, connessa al denunciato errore essenziale sull’oggetto e/o al presunto dolo omissivo addebitato alla banca (artt. 1427, 1429, 1439 cod. civ.).

Nel contenzioso in materia di derivati, è molto diffuso trovare clienti possessori di swap che contestino agli istituti di avere incamerato, già al momento del perfezionamento dell’operazione, una sorta di compenso occulto che avrebbe comportato, ab origine, da un lato uno squilibrio finanziario intrinseco a favore dell’istituto e, dall’altro, un valore iniziale negativo del prodotto a carico del cliente.

Come è noto agli addetti ai lavori, negli ultimi tempi non erano neppure mancate delle pronunce giudiziali che avevano effettivamente fondato l’accoglimento dell’azione giudiziaria promossa dai clienti degli istituti di credito proprio sulla pre-esistenza, all’atto di stipulare lo swap, della cosiddetta commissione occulta (1).

Il Tribunale di Verona, sul punto, ha però deciso di distinguersi da altri giudici di merito affermando il seguente principio di diritto: “Nei contratti di swap, il margine lordo a favore della banca non è di per sé segno di una patologia dell’operazione, a meno che l’importo di esso sia eccessivo e comporti uno sbilanciamento dell’operazione in danno del cliente”.

In tutta evidenza, questa volta siamo in presenza di un tentativo di ridefinire in modo decisamente inedito la controversa nozione di “costo implicito” di uno strumento derivato.

Il Tribunale di Verona prova infatti ad articolare una spiegazione tecnico-strutturale delle operazioni di interest rate swap, sussumendo nel campo della fisiologia finanziaria il costume della banca di non assumere interamente il suo rischio di mercato, all’atto di negoziare l’IRS col cliente, bensì coprendosi a sua volta mediante l’acquisto di un analogo strumento di copertura, solitamente negoziato con un soggetto terzo.

In sostanza, la banca, nello stesso momento in cui cede lo swap al cliente, assumerebbe un duplice rischio di credito: il primo verso lo stesso cliente, il secondo verso un altro istituto di credito con cui stipula un secondo swap di segno contrario, al fine di neutralizzare gli eventuali effetti negativi del primo.

E poiché il rischio assunto dalla banca verso il soggetto terzo è solitamente inferiore a quello assunto dal cliente verso la stessa banca, allora è ovvio che in ogni operazione di swap – sempre a detta del Tribunale scaligero – esista sempre “un margine lordo implicito a favore della banca, che è costituito, da un lato, dalle condizioni più favorevoli che la stessa spunta sul mercato per concludere il contratto di segno contrario, e, dall’altro, dalla copertura del rischio di credito e dei costi operativi”.

A ciò si aggiunge il decisivo rilievo secondo cui “alla stipulazione del contratto il mark to market è solo astrattamente nullo mentre di fatto è normalmente positivo per la banca, risentendo del predetto margine lordo”.

In conclusione, secondo il Tribunale di Verona, soltanto un eccessivo squilibrio iniziale tra i due rispettivi rischi di credito (costituenti l’essenza del suddetto “margine lordo” e, in fin dei conti, dello stesso mark to market) può in via generale costituire il fondamento non per una improbabile azione di annullamento del contratto bensì per delle parziali restituzioni a favore del cliente, dirette a ridurre il “margine lordo” favorevole alla banca ed a riequilibrare così il profilo economico dell’intera operazione.

Siamo certi che l’originale ricostruzione operata dal Tribunale scaligero non mancherà di fare discutere gli operatori del settore.

La prima domanda che viene infatti da chiedersi è la seguente: chi e come potrà stabilire i confini oltre i quali il suddetto “margine lordo” deve essere ritenuto eccessivamente squilibrato a danno del cliente di prodotti IRS?
__________________________

(1)In particolare, si era segnalata la sentenza dell’aprile 2011, emessa dal Tribunale civile di Milano (commentata su DERIVATI.INFO da Giorgio Mantovano, link all’articolo) ove dalla lettura dell’art. 3, reg. CONSOB n. 11522/1998, si era inferito che il valore iniziale di uno swap debba essere sempre nullo per entrambi i contraenti.

 * * *

Link al provvedimento:

 http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/8374.php

 

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